«Cerca una maglia rotta nella rete
Che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
Mi sarà lieve, meno acre la ruggine…»
In Limine, Ossi di seppia (1925) E. Montale
In questo momento storico siamo soliti relegare all’artista il compito di documentare o addirittura testimoniare i recenti avvenimenti facendo calare sulle opere il facile e retorico packaging dell’attualità. A tal proposito Wassilij Kandinskij ci ammonirebbe ricordandoci che “l’arte che non ha avvenire, che è solo figlia del suo tempo ma non diventerà mai madre del futuro, è un’arte sterile” (Lo spirituale nell’arte, pag. 20) poiché fa perdere all’artista, e di conseguenza allo spettatore, la sua via, la sua ricerca, il suo percorso interiore gettandolo così nella vana sfera del divertissements. L’artista, quindi, collocato in una certa epoca, in un preciso momento, non si rivolge solamente al suo presente, all’oggi, bensì al tempo. In altri termini, l’arte è una traccia che l’uomo, immerso nel caos vitale, lascia ai posteri.
A partire da queste frecce indicative la mostra Interiors intende discostarsi dall’alone nebuloso che aleggia nell’arte in questi momenti topici. Tramite i lavori di Angelo Bertoglio, Simone Butturini, Giulio Cassanelli, Günter Pusch, Albina Yaloza e William West, il visitatore è chiamato, più che a cavalcare la corrente mediatica, a proseguire il sentiero impervio dell’Arte che non smette mai, anche in periodi cupi, di “illuminare la profondità del cuore umano” (Robert Schumann).
Angelo Bertoglio evoca inquadrature inaspettate di interni astratti e geometrici in cui luce, plasticità e colore conferiscono immaterialità e rilievo all’immagine. Fessure, pieghe e fenditure si fanno immagini di quegli “sbagli di Natura” o “maglie rotte nella rete” (Eugenio Montale) che sembrano offrire il segreto ultimo delle cose e dell’esistenza; epifanie, attraverso le quali, la pittura, può ancora caricarsi sulle spalle la “religione del mistero” (Massimo Bontempelli).
Negli interni di Simone Butturini lo spettatore viene invitato al silenzio, punto di partenza per distaccarsi dalla dimensione umana e lasciarsi andare alla pura contemplazione attraverso i diversi accadimenti della pittura. L’artista vuole scavare nel profondo dell’animo a partire da quelle tracce umane silenti e celate, quali oggetti inanimati e domestici, corroborati di un’atmosfera alla soglia fra realtà e immaginario.
Nel ciclo Black apples di Giulio Cassanelli l’attenzione ricade sulla mela come oggetto-simbolo, avulso dalla realtà, che muta di senso al variare delle sue possibili manifestazioni trovando, così, ulteriori valenze e significati. La rappresentazione dell’unicità in una particolare contingenza storica e l’ardente desiderio di relazionarsi con esseri umani hanno invece contraddistinto, in maniera diametralmente opposta, i lavori delle serie Cheese e Doodles.
Günter Pusch si esprime in una continua tensione fra natura e tecnologia, ponendo in evidenza quegli ingranaggi, matrici o pattern primordiali dalla quale scaturisce il “non-tutto” dell’immagine (G. Didi-Huberman), ossia quelle parti invisibili e impercettibili all’origine del dato visivo che costituiscono l’organismo biologico e quello meccanico. Il suo universo si costituisce di strutture industriali, motori, fabbriche, ma anche animali, fiori, elementi vegetali che l’artista utilizza come strumento per cogliere il mistero della vita.
Nella serie Creation Albina Yaloza indaga sul lato materiale del sacro, attraverso le tecniche di linoleografia e pittura, esaminando l’iconografia delle mani, simbolo di creazione per eccellenza, e parole tratte dalla Genesi. In questa ricerca dell’immagine di una misteriosa forza visionaria la componente spirituale prevale su quella propriamente religiosa e dottrinale, e le mani, disposte in maniere differenti, fanno i conti con elementi iconografici della tradizione artistica.
William West concentra la sua pratica sul riciclo e il recupero. Oggetti di plastica o tessuti abbandonati vengono utilizzati come superficie su cui impiegare il marmo, materiale nobile della scultura classica. Oltre a questo approccio solidale nei confronti del fare scultoreo, interesse principale dell’artista consiste anche nel creare delle illusioni agli occhi dello spettatore, che si trova in una posizione dissimile da quella reale e ordinaria.